Se questa serie ci restituisce un Tim Burton al meglio del suo animo dark e artistico, io vado a baciare in bocca tutti nel quartier generale di Netflix.
«Emigrare era come staccarsi di dosso la pelle. Come disfarsi. Ti svegli ogni mattina e ti dimentichi dove sei, chi sei, e quando il mondo di fuori ti mostra il tuo riflesso, è brutto e distorto; sei diventato una creatura disprezzata, indesiderata» La storia nel cuore del romanzo di Patricia Engel, tradotto da Enrica Budetta per @fazieditore, è una delle più rappresentative dell'epoca contemporanea. Un periodo storico in cui l'esser nati nelle zone più politicamente disequilibrate e svantaggiate economicamente si paga ad un prezzo devastante. Basta avere un briciolo di empatia per osservare certe situazioni e uscirne con la convinzione che 'umanità, dove stiamo finendo?' Se non l'avete ancora fatto, vi consiglio di recuperare, sullo stesso tema, Flee, gioiello dell'animazione danese. Le storie di Amin Nawabi, in fuga da un Afghanistan devastato, e l'odissea di Talia, colombiana nata negli Stati Uniti ma costretta a ritornare in patria, per ricongiungersi con i suoi fratelli e la madre sono lo specchio della realtà di molte persone. Veri e propri fantasmi ai margini delle società in cui il tenore di vita è, all'apparenza, migliore. Patricia Engel racconta la sua protagonista quattordicenne, le nazioni della sua giovane ma intensa vita e il passato della sua famiglia tramite salti temporali e senza alcun indugio nella pornografia del dolore. In un romanzo, comunque sia, contenuto (sono poco più di 200 pagine) sentirete spesso lo stomaco contorcersi per la rabbia o per il coinvolgimento emotivo. Il modo in cui l'autrice porta a scoprire l'ancestrale patrimonio culturale colombiano è splendido e rende la lettura ancora più interessante agli occhi di chi segue la vicenda di Talia. Una terra verso cui i protagonisti, tuttavia, provano anche un forte e comprensibile malumore. Malumori che perfino la nazione di destinazione, gli Stati Uniti, non possono fare a meno di accentuare. Sono odissee che, ahimé, non si esauriscono quando si giunge a destinazione. «E forse non esistono nazioni o cittadinanze; sono solo territori disegnati su una mappa, lì dove dovrebbe esserci la famiglia, dove dovrebbe esserci l’amore, il paese infinito».
Le mie persone preferite (tennista e attore) e ventordicimila gradi di separazione 🫀
È stata un' estate incredibile. L' oro delle ragazze del volley in chiusura di Olimpiadi, il tennis italiano che porta a casa due medaglie, la nostra squad di atletica leggera, Leclerc che vince a Monza, Jannik che è diventato Re mentre si consumava un dramma nel suo team...
Quella foto reliquia risale a cinque anni fa'. Jan non aveva ancora 20 anni e sarebbe ora di aggiornarla (perché entrambi si sentono e conoscono). Il gemellaggio tra Sinneristə e Leclerchistə è uno dei più spontanei nati negli ultimi anni e sono onorata di farne parte.
Sia Nicholas, spuntato letteralmente dal nulla nella mia vita, che Jannik mi hanno restituito la serenità nell' ultimo anno (il tennis è la luce della mia vita). Lo sport, per quanto mi riguarda, può cose che il cinema non può più. Farti venire voglia di presente e futuro (sebbene questo sia legato a troppe incognite). Mentre il cinema, salvo rarissime eccezioni, spinge sul fattore nostalgia fin quasi alla nausea. Quasi mi dispiace che Nicholas lo ami così tanto. Ad ognuno il suo, si dice.
Perlomeno mi hanno riesumato la mia saga preferita (Alien) . Ergo, c'è qualcosina anche per me.
P.s.: lui, un fenomeno.
"I Think It's Nice That We Share The Same Sky."
(via GIPHY)
Sono riuscita a tornare a questo dopo essere ripartita da qui: https://media.giphy.com/media/6X5WbJUQtdV3PQYqil/giphy.gif
Non mi ricordavo più niente.
Se avete feedback, consigli da darmi, etc sappiate che li accetto tutti. Otto anni fa avevo un blog su Tumblr, ben avviato e avevo imparato a creare gif. Ma, come si suol dire, il tempo a mia disposizione era risucchiato dalla vita reale. Dopo un anno, più o meno, ho dovuto chiuderlo.
'Mi basta Twitter'.
'Mi chiamo Mary Katherine Blackwood. Ho diciott’anni e abito con mia sorella Constance. Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro, perché ho il medio e l’anulare della stessa lunghezza, ma mi sono dovuta accontentare. Detesto lavarmi, e i cani, e il rumore. Le mie passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di Leone e l’Amanita phalloides, il fungo mortale. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti.'
Assieme alla scoperta della penna straordinaria di Annie Ernaux, Abbiamo sempre vissuto nel castello è la lettura che più ho amato in un anno di avventure intense su carta.
Sapevo già di essere al cospetto di uno dei due romanzi più importanti di Shirley Jackson, autrice estremamente cara sia a Stephen King che a chiunque adori un genere in particolare.
Constatare di persona, tuttavia, la potenza e la forza della scrittura della maestra del gotico contemporaneo è stato tutto un altro paio di maniche. La voce di Mary Blackwood, selvatica e ribelle, attira chi legge come se fosse una falena nella maestosa tenuta dei Blackwood regalandogli smarrimento, confusione e brividi di piacere lungo la lettura.
Spesso l'orrore, quando sgorga dalla più banale quotidianità, si attorciglia al cuore di chi legge per non abbandonarlo mai più inquietando molto di più di una pozza di sangue sul pavimento.