L’animo Non Dovrebbe Affaticarsi A Cercarsi Nell’altrove. Dovrebbe Semplicimente Fermarsi, Per Realizzare

L’animo non dovrebbe affaticarsi a cercarsi nell’altrove. Dovrebbe semplicimente fermarsi, per realizzare che il suo "sé" risiede nella realtà più vicina, prossima.

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2 years ago

NESSUNO.

PROPRIO NESSUNO.

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NESSUNO.

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4 years ago

perenne-mente stazionaria

Detesto, disprezzo: mi viene la nausea. Provo, sempre, un forte estraniamento e disgusto verso il mio contesto culturale e sociale. Mi disgustano gli stimoli, le rappresentazioni culturali, gli immaginari, il modo in cui plasmano la realtà immaginaria e reale. Vivo con l’illusione di perseguire una via di fuga inedita, ma in realtà è sempre la stessa: tutto cambia per non cambiare niente. Il mio non è né uno sfogo da adolescente nevrotica (né its Madame Bovary), né perché sono su tamblah e va di moda la flagellazione della mia esistenza. E’, invece, la constatazione bruta, che questo mio mondo culturale mi tiene constante-mente impigliata, in una costruzione personale e identitaria che detesto. Forse l’unica pace reale sta nel niente niente niente.


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3 years ago

| (Im)preparazione |

Cercavo di riflettere sul fenomeno del ghosting — Baudelaire sicuramente lo assocerebbe al «mal du siècle» — con questo termine si designano quelle sparizioni improvvise di persone con le quali si sta insieme o si sta iniziando un periodo di conoscenza.

Leggo spesso che la causa dell’atteggiamento del «fantasma» sia lo scarso interesse. A mio avviso questa interpretazione potrebbe essere una parziale verità. Per me le questioni sono molto più sfaccettate e complesse.

Non dovrebbe tanto essere una questione da declinare in queste forme: è nella cultura e nei modi di fare dell’uomo o della donna a farli agire così, perché sono essenzialmente degli idioti. Questa è semplicemente una giustificazione. È un po’ come quando — estremizzo — in passato gli antropologi interpretavano le usanze considerate “astruse” di alcune popolazioni, in virtù del fatto che fosse nella loro cultura, pertanto non indagavano criticamente quella pratica.

Se una persona “sparisce” la si giustifica. Invece perché non si inizia a far presente che il nostro secolo è impreparato e non sufficientemente pronto a relazionarsi con l’altro...?!

Non sono i rapporti a non essere più profondi, ma sono le condizioni presenti che permettono e legittimano comportamenti da “egoisti” e “irresponsabili”. Non è la persona di per sé cattiva perché dà indifferenza è l’interno sistema che glielo permette. Ad esempio, nel mio contesto culturale alcune interazioni possono svolgersi in contesti virtuali e le app su cui si può interagire delineano scenari in cui puoi non rispondere o puoi sparire senza dare una giustificazione all’altr*. Ciò lo si può riscontrare nei meccanismi del “visualizzato", "letto", "consegnato", "notifica a comparsa", "segna come da leggere". Diciamo che si svilupperebbe uno scenario in cui viene favorito l'atteggiamento di totale mancanza di responsabilità nei confronti dell’emotività e sensibilità altrui. Perché i creatori delle app di messaggistica decidono di inserire queste diciture?

Orbene, sto declinando la questione da un punto di vista essenzialmente culturale, in termini di come il mio contesto sociale rappresenta e mette in scena uno dei tanti modo di sviluppare le interazioni umane. Credo per cui che si dovrebbe iniziare a ragionare in maniera più approfondita su certi meccanismi di interazione sociale così “ovvi” e “naturali”.

Ps: Mi piacerebbe davvero conoscere il punto dei vista dei “fantasmin*”.


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3 years ago

Cosa accadrebbe, se un nuovo resoconto agitasse le conclusioni desunte?

3 years ago

Aneddoti profani da inserire nel curriculum di una studentessa di antropologia:

✔Leggere uno pseduo harmony/young adult vibes, che si ispira a sviluppare il vissuto personale di una nota coppia di antrostar del secolo scorso.

Un esempio esplicativo?

[Segue quello della coppia durante un amplesso con finalità riproduttive:]

Aneddoti Profani Da Inserire Nel Curriculum Di Una Studentessa Di Antropologia:

Ma un antropologo potrebbe mai parlare così...?

È da riscrivere.

Aneddoti Profani Da Inserire Nel Curriculum Di Una Studentessa Di Antropologia:

Ecco. Ora va già meglio.

Vabbè deficienze a parte, Euforia di Lili King é stata una lettura curiosa, blasfema, ma interessante perché permette di umanizzare gli e le antropologhe (per me sono dei semidei) e di avvicinarsi alla comprensione di alcune peculiarità del "mestiere".


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3 years ago
Antonio Gramsci, 1932, Quaderno (XII)

Antonio Gramsci, 1932, Quaderno (XII)


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3 years ago

| Autenticità di contesto |

Ogni tanto mi capita di leggere “doc", "100 % originale" o altri sinonimi che certificano l'unicità di un prodotto o di un tratto culturale, etc,.

(come leggo qui) >>

| Autenticità Di Contesto |
| Autenticità Di Contesto |

La mia reazione è all’incirca questa:

| Autenticità Di Contesto |
| Autenticità Di Contesto |

Da sempre l’uomo ha vissuto in un contesto in cui si è “mischiato” ed ha definito, artificiosa-mente e artificial-mente, ciò che lo contraddistingue. Ad esempio, sul finire del Cinquecento la storiografia occidentale documenta uno dei più celebri incontri culturali, quello tra le Americhe e i conquistadores. Ne Indios, cinesi, falsari: le storie del mondo nel Rinascimento (2016) di Giuseppe Marcocci viene raccontato che durante l’evangelizzazione delle popolazioni indigene messicane, i frati hanno voluto iscrivere la storia messicana nel quadro di una più ampia storia ecclesiastica, provvidenziale e globale dell’umanità, andando a mescolare le diverse tradizioni locali per creare un quadro di autenticità storica. Marcocci evidenzia però che nello scrivere riguardo alle genealogie e storie dei mexica (oggi aztechi): c'è una buona dose di incongruenza metodologica e storica.

Se considerate questo esempio fin troppo âgé ne propongono uno più recente. L’antropologo americano Ralph Linton nelle lezioni di Antropologia culturale (anche il mio prof. lo fece) era solito proporre questo esempio (Aime):

«Il cittadino americano medio si sveglia in un letto costruito secondo un modello che ebbe origine nel vicino Oriente. [...]

Andando a fare colazione si ferma a comprare un giornale, pagando con delle monete che sono un’antica invenzione della Lidia. Al ristorante viene a contatto con tutta una nuova serie di elementi presi da altre culture: il suo piatto è fatto di un tipo di terraglia inventato in Cina; il suo coltello è di acciaio, lega fatta per la prima volta nell’India del Sud, la forchetta ha origini medioevali italiane, il cucchiaio è un derivato dell’originale romano. Prende il caffè, pianta abissina, con panna e zucchero. Sia l’idea di allevare mucche che quella di mungerle ha avuto origine nel vicino Oriente, mentre lo zucchero fu estratto in India per la prima volta. Dopo la frutta e il caffè, mangerà le cialde, dolci fatti, secondo una tecnica scandinava, con il frumento, originario dell’Asia minore […]. Quando il nostro amico ha finito di mangiare, si appoggia alla spalliera della sedia e fuma, secondo un’abitudine degli indiani d’America, consumando la pianta addomesticata in Brasile o fumando la pipa, derivata dagli indiani della Virginia, o la sigaretta, derivata dal Messico. Può anche fumare un sigaro, trasmessoci dalle Antille, attraverso la Spagna. Mentre fuma legge le notizie del giorno, stampate in un carattere inventato dagli antichi semiti, su di un materiale inventato in Cina e secondo un procedimento inventato in Germania. Mentre legge i resoconti dei problemi che si agitano all’estero, se è un buon cittadino conservatore, con un linguaggio indo-europeo, ringrazierà una divinità ebraica di averlo fatto al cento per cento americano».

Dalla mia narrazione sembrerebbe evidente il tipo di scenario che si prospetta per considerare il concetto di “autentico”, cioè ritenendolo un costrutto, inventato dalle culture:

«Spesso siamo convinti che gran parte di ciò che utilizziamo sia il frutto della “nostra” cultura e della “nostra” società e siamo restii ad accettare che invece si tratta del risultato di lunghi e continui scambi (Marco Aime)».

(!) Questa prospettiva non mi soddisfa del tutto, è pur sempre un pensiero evidente a livello teorico, ma difficile da attuare in una realtà caratterizzata dall’esclusività del tratto. Allo stato attuale, é più agevole riuscire a costruire l’unicità, anziché provare a de-costruirla. Parlare di processi di omogeneizzazione culturale o di reciproca influenza, sotto certi punti di vista, è un'eresia. Per cui ancor prima di mostrare una certa irritazione nell'uso del termine "vero" dovrei iniziare a ricostruire quel discorso che si intesse intorno a questo concetto dato che è fortemente vivo nelle pratiche, no?


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3 years ago

|Alzare gli occhi al cielo non è peccato|

Ascolto quotidianamente omelie e prediche sull'accettazione personale e sul dover raggiungere un equilibro tale da distaccarsi dagli ideali, reali e non, che la nostra società ci propone. Non posso constatare quanta superficialità nascondano queste litanie. Questi ragionamenti mi sembrano delle illusioni create per arginare sommariamente il problema. Nonostante l’individualismo onnipresente-> siamo individui immersi in un contesto sociale.

Secondo me non esisterà mai un sano discorso di ‘accettazione personale’, fino a quando non si inizierà a ragionare, operativa-mente, su come l'essere umano si confronta e si relaziona con la società e con i suoi simili. Solo quando si capirà come avviene o come viene vissuto lo scambio soggetto-mondo, forse si comprenderà come realizzare questa benedetta “accettazione personale”.


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3 years ago

| La pubblicità progresso |

Mentre camminavo per le strade di Taormina il mio sguardo viene “catturato”, per deformazione professionale, da questi negozi: “Arte paesana” o “Etnic one”, siti in una delle vie principali del centro.

| La Pubblicità Progresso |
| La Pubblicità Progresso |

Mi colpiscono perché sono vocaboli del gergo antropologico, nel senso che la disciplina antropologica da sempre si è confrontata con i concetti di identità e rappresentazione culturale.  

Da brava aspirante ricercatrice mi sono documentata e:

per ciò che concerne “Arte paesana” è «un’attività che affonda le sue radici nella figura di Vincenzo Daneu (Trieste 1860 - Taormina 1937) fonda, a Palermo, un’impresa commerciale, a conduzione familiare, di piccolo e alto antiquariato prediligendo l’arte “paesana” di Sicilia e di Sardegna»; il «punto vendita propone tovaglie e ricami ottocenteschi»;

invece “Etnic one”, come riportato nel sito web, «offre un'esperienza di shopping sensoriale unica ai suoi clienti […] abbigliamento etnico particolare e scelto con cura, gioielli, accessori e home-decor». 

È lampante che questi soggetti imprenditoriali si sono appropriati di alcune terminologie, riadattandole e rivendicandole come segni caratteristici.

In parallelo e sotto un certo punto di vista, queste attività sono portatrici di un’ambivalenza, ovvero che essenzializzano “l’arte del paese” o lo stile etnico.

Ripenso al dibattito nel mondo dell’arte di fine Ottocento, quando l’Occidente istituiva musei e vi esibiva oggetti provenienti dalle colonie d’oltremare. Ad esempio, le maschere africane venivano considerate come “arte primitiva” e gli occidentali si mostravano riluttanti a considerare che quelle potessero essere delle forme di arte alla stregua del Mose di Michelangelo. Sally Price ne I primitivi traditi (1992) «ha messo in discussione l’etnocentrismo con il quale le categorie e le forme di valutazione dell’arte occidentale hanno escluso gli oggetti non-occidentali (Caoci 208, 160)». Infatti, l’arte primitiva veniva considerata semplice ed elementare rispetto a quella occidentale, era vista come il prodotto di pulsioni istintuali o psicologiche. Gli artisti primitivi erano gli «esponenti incontaminati dell’inconscio dell'uomo», mentre gli occidentali erano i soli che potessero accedere ad una forma di estetica cosciente. Pertanto l’arte occidentale non era mai sottoposta alla reazione dei primitivi, perché questi non venivano ritenuti in grado di partecipare ad esperienze estetiche che oltrepassino i confini delle proprie culture. 

Da queste considerazioni è evidente che se leggo “arte paesana” o “etnico” rimango leggermente interdetta, perché ripenso al dibattito che decostruisce ed epura da certe viziositá. Vedere che, invece, c'è una tendenza al ri-attualizzare e al ri-appropriarsi di certe parole è piuttosto curioso ed insolito.

Orbene, con questa riflessione non vorrei essere io a tipicizzare le istanze delle due attività commerciali. Ritengo che sarebbe più produttivo l’ascolto delle scelte dell’imprenditore o della imprenditrice per l’uso di quel termine o di andare direttamente al nocciolo della questione chiedendosi: "ma chi boli diri “arte paesana”? (Per i non catanesi = che significato assumono questi concetti nel XXI secolo?). 

Bibliografia 

Caoci A., 2008, Antropologia, estetica e arte. Antologia di scritti. 

Price S., 1992, I primitivi traditi. L'arte dei «selvaggi» e la presunzione occidentale. 

Siti per approfondire Vincenzo Daneu: (Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Palermo, via Garibaldi, 41, Palermo (2021) (govserv.org)); Shopping d’autore a Taormina (compagniadeiviaggiatori.com)

Sito web "Etnic One": (etnicone.com/) 


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|lo sguardo di un'aspirante antropologa sul mondo|

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