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Nell'immensa magione degli Hardcastle, qualcuno verrà ucciso. Dallo svelamento dell'identità dell'assassino dipendono le sorti del narratore dell'intera vicenda, incastrato in un loop dal quale sembra impossibile uscire. Egli è chiamato a rivivere la stessa giornata in corpi diversi dal proprio fino a che non sarà venuto a capo dei misteri custoditi dall'infernale Blackheath.
Dirvi di più vorrebbe dire rovinare un'esperienza di lettura ricca di prelibatezze e di piacere inatteso ed inaspettato.
Un prisma dalle molteplici facce. Un teatro della decadenza umana, scandagliata ed esposta fin nelle sue più profonde viscere e da più punti di vista diversi; un rompicapo a cui lettori e lettrici sono chiamati a partecipare, invogliati naturalmente dall'opera a prendere matita e blocco degli appunti per annotarsi personaggi, aneddoti e indizi; un'avventura capace di prendere spunti da una moltitudine di elementi diversi (l'ambientazione di un classico giallo; i loop temporali; la distopia) per rielaborarli in una maniera convincente in un intreccio funzionante.
Ogni domanda avrà una risposta soprattutto se il libro riuscirà a catturare la vostra attenzione. Verrebbe voglia di paragonarlo, da giocatrice, ad un escape room in grado di stimolare la memoria e lo spirito di osservazione di chi legge. Uno dei pregi più grandi del libro è la ricchezza ed eleganza della scrittura, essenziale per far superare a chi legge confusione e smarrimenti iniziali e in grado di donare personaggi e ambientazioni a tutto tondo.
😮 Sono fuggita da Blackheath e dalla sua marcia bellezza ieri sera e, tuttavia, non sento di essermi allontanata abbastanza da questa 'residenza del male' e dalla fitta foresta che la circonda. Avverto ancora il suo richiamo sinistro.
"Si può dire che il peccato è un'amarezza, cioè quando qualcosa che ci piace cade per terra e si rompe?"
La vita bugiarda degli adulti, pubblicato da @edizioni_eo a novembre 2019 come un fulmine a ciel sereno, è l'ultima opera di narrativa di una delle più importanti narratrici contemporanee. Un'autrice in grado di tenere sul filo del rasoio chi legge manco stesse raccontando un thriller al cardiopalma.
È la storia, narrata in prima persona e a ritroso nel tempo, di Giovanna, 13enne partenopea, e del suo addio all'età infantile fatta di amore verso chi la circonda, familiari e amichette. Dal pronunciamento di una frase del proprio padre si aprirà una serie di reazioni a catena che la porteranno sia a fare luce su ogni zona d'ombra della propria famiglia che ad aprirsi verso le mille sfumature della città in cui vive, Napoli.
Io sono convinta che dobbiate sapere il meno possibile approcciandovi sia alla serie tv che, specialmente, al romanzo di Elena Ferrante. Non è tanto cosa si nasconde nelle sue pagine a spiegare la passione verso questa autrice, quanto la sua incredibile prosa e la sua capacità di dare un ritmo irresistibile al racconto del quotidiano. Lei racconta l'amarezza feroce e la gioia violenta di molteplici vite, di figure che chiunque di noi potrebbe incontrare lungo il corso della sua vita e il lettore è avvinghiato alle pagine come se stesse seguendo la complessa trama di un romanzo fantasy o noir.
Anche qui, l'abbandono di Giannì ad un'età e a delle figure idealizzate viene raccontato con dovizia di particolari, passaggi che riescono ad inquietare e a turbare e altri che emanano una bellezza irresistibile (soprattutto quando andremo alla scoperta di quelle radici familiari di cui qualcuno ha voluto dimenticarsi).
'Mi chiamo Mary Katherine Blackwood. Ho diciott’anni e abito con mia sorella Constance. Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro, perché ho il medio e l’anulare della stessa lunghezza, ma mi sono dovuta accontentare. Detesto lavarmi, e i cani, e il rumore. Le mie passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di Leone e l’Amanita phalloides, il fungo mortale. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti.'
Assieme alla scoperta della penna straordinaria di Annie Ernaux, Abbiamo sempre vissuto nel castello è la lettura che più ho amato in un anno di avventure intense su carta.
Sapevo già di essere al cospetto di uno dei due romanzi più importanti di Shirley Jackson, autrice estremamente cara sia a Stephen King che a chiunque adori un genere in particolare.
Constatare di persona, tuttavia, la potenza e la forza della scrittura della maestra del gotico contemporaneo è stato tutto un altro paio di maniche. La voce di Mary Blackwood, selvatica e ribelle, attira chi legge come se fosse una falena nella maestosa tenuta dei Blackwood regalandogli smarrimento, confusione e brividi di piacere lungo la lettura.
Spesso l'orrore, quando sgorga dalla più banale quotidianità, si attorciglia al cuore di chi legge per non abbandonarlo mai più inquietando molto di più di una pozza di sangue sul pavimento.
'Una gallina sana brilla. Le piume appartengono alla categoria degli elementi luminosi in natura.'
Come fa un soggetto così minuto e, all'apparenza, banale come il racconto di una persona che decide di allevare animali guadagnarsi così tanto l'attenzione della critica e di chi è appassionato di letteratura? Vi basti pensare che la trama, riassunta sul retro della copertina, raggiunge a malapena una riga: "Quattro galline: la vita, nient'altro che la vita". Eppure gli elogi da parte di autrici e autori importanti - da Giulia Caminito a Chiara Valerio - si sprecano.
Lo sguardo di Jackie Polzin, al suo primo romanzo, è dotato di estrema ma misurata empatia, un'attenzione scrupolosa per ogni piccolo dettaglio e la capacità di far girare le pagine degna di chi sta narrando un thriller al cardiopalma o un'avventura incalzante. Uno sguardo similare a quello della sua protagonista, una donna sposata e in età matura come tante, con il desiderio di dedicare parte della propria vita ad accudire quattro volatili.
Durante la lettura scopriremo le caratteristiche di ognuna di loro (ovviamente, la vivacissima Testanera è diventata la mia preferita) ma anche e soprattutto delle persone che l'accudiscono e degli amici che fanno loro visita. Ed è nelle pieghe di una quotidianità apparente, fatta perfino di incauti errori (tipici di chiunque adotti per la prima volta un animale), che il romanzo svela la sua raison d'etre.
Con una scrittura capace di non indugiare mai nel dolore fine a se stesso, sebbene semplice e diretta, Polzin ci regala leggerezza, attimi di tenerezza e momenti di quieta riflessione.
"La vita non è altro che lo sforzo continuo di vivere. Certe persone lo fanno sembrare facile. Le galline no. Muoiono all'improvviso e senza una ragione."
Rimango sempre stupita da chi riesce a condensare così tanto in un spazio così contenuto come un piccolo pollaio nel Minnesota.
"Puoi usare una spada come un bastone da passeggio, tuttavia ciò non cambia la sua natura."
Or bene, sono giunta anche io alla fine di uno dei libri più amati dalla community di lettori e lettrici. Dalla meravigliosa penna di Madeline Miller, da me scoperta quest'anno grazie alla lettura dello stupendo Circe, giunge un racconto classico e, allo stesso tempo, contemporaneo per chi è appassionato di mitologia (e non).
La Canzone di Achille, pubblicato in Italia ben nove anni fa da Marsilio Editori, viene raccontata dal punto di vista di Patroclo, narratore in prima persona della sua storia e quella dell'amato Achille, dall'adolescenza fino alle potenti pagine riguardanti la Guerra di Troia.
L'amore che nasce e cresce tra i due, assoluto e travolgente, è il fulcro della storia. Infatti, oltre ad essere un Tardis in grado di trasportarci in un mondo dal sapore antico, il romanzo di debutto di Miller è la fotografia moderna (abbiate pietà per gli occhi di Patroclo 😂 le descrizioni della perfezione di Achille compaiono ovunque. Tant'è che, ad un certo punto, vorresti prenderlo e dirgli 'si, grazie caro. Ho capito!'), umanizzata e, forse, più vicina a noi de "Il migliore dei greci". Per un lettore o una lettrice giovani, può essere un portale assolutamente congeniale per unire lo studio al puro intrattenimento.
Sia Patroclo che la stessa Circe (si capisce quanto Circe mi sia piaciuto, visto che continuo a nominarlo? Oddio, assomiglio sempre più a Patroclo ) si fanno perno in modo che l'autrice possa affrontare tutte le tematiche che le stanno più a cuore. Le tratta con una facilità di scrittura, un tono deciso e una delicatezza in grado di avvolgere completamente il lettore o la lettrice.
Se siete di animo romantico e molto giovani, potreste emozionarvi anche molto.
«Emigrare era come staccarsi di dosso la pelle. Come disfarsi. Ti svegli ogni mattina e ti dimentichi dove sei, chi sei, e quando il mondo di fuori ti mostra il tuo riflesso, è brutto e distorto; sei diventato una creatura disprezzata, indesiderata» La storia nel cuore del romanzo di Patricia Engel, tradotto da Enrica Budetta per @fazieditore, è una delle più rappresentative dell'epoca contemporanea. Un periodo storico in cui l'esser nati nelle zone più politicamente disequilibrate e svantaggiate economicamente si paga ad un prezzo devastante. Basta avere un briciolo di empatia per osservare certe situazioni e uscirne con la convinzione che 'umanità, dove stiamo finendo?' Se non l'avete ancora fatto, vi consiglio di recuperare, sullo stesso tema, Flee, gioiello dell'animazione danese. Le storie di Amin Nawabi, in fuga da un Afghanistan devastato, e l'odissea di Talia, colombiana nata negli Stati Uniti ma costretta a ritornare in patria, per ricongiungersi con i suoi fratelli e la madre sono lo specchio della realtà di molte persone. Veri e propri fantasmi ai margini delle società in cui il tenore di vita è, all'apparenza, migliore. Patricia Engel racconta la sua protagonista quattordicenne, le nazioni della sua giovane ma intensa vita e il passato della sua famiglia tramite salti temporali e senza alcun indugio nella pornografia del dolore. In un romanzo, comunque sia, contenuto (sono poco più di 200 pagine) sentirete spesso lo stomaco contorcersi per la rabbia o per il coinvolgimento emotivo. Il modo in cui l'autrice porta a scoprire l'ancestrale patrimonio culturale colombiano è splendido e rende la lettura ancora più interessante agli occhi di chi segue la vicenda di Talia. Una terra verso cui i protagonisti, tuttavia, provano anche un forte e comprensibile malumore. Malumori che perfino la nazione di destinazione, gli Stati Uniti, non possono fare a meno di accentuare. Sono odissee che, ahimé, non si esauriscono quando si giunge a destinazione. «E forse non esistono nazioni o cittadinanze; sono solo territori disegnati su una mappa, lì dove dovrebbe esserci la famiglia, dove dovrebbe esserci l’amore, il paese infinito».