Detesto, disprezzo: mi viene la nausea. Provo, sempre, un forte estraniamento e disgusto verso il mio contesto culturale e sociale. Mi disgustano gli stimoli, le rappresentazioni culturali, gli immaginari, il modo in cui plasmano la realtà immaginaria e reale. Vivo con l’illusione di perseguire una via di fuga inedita, ma in realtà è sempre la stessa: tutto cambia per non cambiare niente. Il mio non è né uno sfogo da adolescente nevrotica (né its Madame Bovary), né perché sono su tamblah e va di moda la flagellazione della mia esistenza. E’, invece, la constatazione bruta, che questo mio mondo culturale mi tiene constante-mente impigliata, in una costruzione personale e identitaria che detesto. Forse l’unica pace reale sta nel niente niente niente.
Jennifer Cavalleri: Senti Prepi l’ho capito che un po’ di cervello ce l’hai.
Oliver Barrett IV: Sul serio?
Jennifer Cavalleri: Certo. Hai preso una cotta per me, no?
Oliver: E’ incredibile.
Jennifer: Ah?
Oliver: Sto studiando. Sto studiando sul serio.
Jennifer: Shh. Anche io.
Oliver: Scusi. Scusa.
~ Ali MacGraw e Ryan O' Neal in Love story (1970)
switch to practise
perché nonostante l'avanzata dei tempi, della tecnologia, delle idee: pensiamo ancora il mondo per stigmatizzazioni?
Mi chiedo se sono le risposte a disporsi lungo le traiettorie oppure se sia l'essere umano a ricavarle forza-(ta)mente...
Fig.1 - Casual Polar Bear Looking Through a Window || Fig. 2 Archillect
sono una ex-studentessa di antropologia basic, i miei pArTnEr intellettuali usano una metafora evocativa:
|| Sarà forse un mio limite
ma difficilmente entrerò in sintonia con i sostenitori dell’ideologia decostruzionista disfunzionale. Mi riferisco a coloro che mirano ad instaurare un regime equo che passa attraverso la demolizione coatta di tutto ciò che non rientra nelle loro concezioni di giusto.
Non capisco perché non si predilige, invece, una scomposizione delle presunte negatività per approfondire e conoscere come vengono vissute da chi le sperimenta nella pratica.
Ancor prima di iniziare l’operazione di demolizione, perché l’analisi non parte da ciò che sta a cuore della gente, da "cosa c’è in ballo?" parafrasando Arthur Kleinman? Invece nell’instaurazione del regime equo tutto scade nel moralismo più tossico, dove gli altri per star bene devono essenzialmente insistere a rigettare e vivere ciò che questi decostruzionisti disfunzionali propinano…
23 Agosto || prendere spunto da Barbara Millicent Robert
Ero al supermercato ed ho visto questa bambola.
Ha catturato sin da subito la mia attenzione, perché è una Barbie diversa da quelle con cui sono cresciuta. Non avrei mai pensato che questo oggetto fosse l’espressione dei canoni estetici del mio contesto culturale. Ho dovuto aspettare "Antropologia culturale" (primo esame universitario. Che ricordi awww💖) per comprendere quanto quella bambola fosse un prodotto culturale ed artificiale, grazie al saggio di Elizabeth Chin “On the Butt Size of Barbie”.
Osservo questa bambola e penso “Che figata. Guarda un po’ il capitalismo. Fa qualcosa di produttivo e funzionale”. Torno a casa e inizio a documentarmi. Scopro che si tratta di una linea realizzata dalla Mattel, casa produttrice, per sensibilizzare alla diversità e promuovere l’inclusività.
Potevo sottrarmi a sproloquiare...? Ognuno ha le proprie croci. Minchiaterie a parte.
Risulta chiaro che con questa operazione la Mattel si allinea e risente del dibattito culturale del nostro tempo. Ritengo che questa campagna non sia un prodotto del pensiero mainstream o politically correct, ha invece del potenziale, qualcosa da non sottovalutare insomma.
Concepire e produrre una bambola che sia calva, sulla sedia a rotelle o con la vitiligine non è soltanto un'azione volta a far identificare una categoria di persone o per evitare che vengano paturnie alle bambine, perché non sono magre e bionde. Secondo me invece spinge ad "un abituarsi alla differenza", ecco dove sta l'operazione di normalizzazione; per far entrare le persone in un mindset diverso; per evitare che l'attenzione si concentri sulla differenza, per andare oltre il fatto e provare a guardare oltre. Perché se cresci con la normalizzazione della differenza, di conseguenza potrai vedere altro.
Io trovo che questa linea di Barbie sia qualcosa di geniale, perché fin troppo spesso si parla di tematiche sensibili attraverso la retorica e il moralismo. Perché non sensibilizzare a partire dal quotidiano? A tal ragione, ripenso agli studi di Jean-Pierre Warnier sulla materialità e sugli oggetti. L’etnologo francese afferma che gli oggetti sono dotati di una propria ‘agentività’, sono capaci di influenzarci e di modificare il nostro modo di concepire il mondo. Per cui se a quattro anni trovavo ‘normale’ che la Barbie dovesse essere bionda, magra, le generazioni successive guarderanno senza malizia la diversità che segna e caratterizza i nostri giorni.